Da pochi giorni è consultabile on line il bilancio di genere della Regione Emilia-Romagna, uno strumento volto a monitorare e valutare l’impatto delle politiche regionali nell’ottica delle pari opportunità. L’approccio metodologico mette al centro l’analisi del benessere nelle sue diverse forme. La capacità di lavorare e fare impresa risulta avere interazioni importanti con le altre dimensioni del benessere: la creazione di reddito da lavoro fornisce mezzi e risorse utili allo sviluppo di altre capacità, quali l’accesso alla conoscenza e alla cultura o la capacità di vivere una vita sana.

In particolare, dalla sezione “lavorare e fare impresa” emergono alcuni importanti indicatori sullo stato del benessere del mercato del lavoro femminile. Il Covid-19 ha determinato un’ulteriore situazione di penalizzazione delle donne rispetto agli uomini, evidenziata dagli indicatori statistici. Sono infatti di più le donne coinvolte dalla perdita di occupazione in termini assoluti e in particolare nella fascia giovanile e nelle donne con basso livello di istruzione. Nel 2021 c’è stata una ripresa dell’occupazione, ma con un aumento del gap in quanto l’occupazione cresce di più per gli uomini che per le donne. Il tasso di occupazione delle donne con figli è aumentato nel 2021 rispetto al 2020 ma rimane ancora basso rispetto ai livelli pre-covid.

Il tasso di attività femminile nella fascia 15-64 anni nel 2021 in Regione è pari a 66,5%, circa 12 punti percentuali in meno rispetto al valore di 78,6% stimato per gli uomini nella stessa fascia di età. Rispetto alla media nazionale si osserva una maggiore partecipazione al mercato del lavoro sia per le donne sia per gli uomini e lo scarto è molto più accentuato per le donne attestandosi a circa undici punti percentuali contro i circa cinque punti riscontrati per gli uomini.

L’importanza dell’investimento in istruzione come attivatore di capacità, anche rispetto al mercato del lavoro, è testimoniato dalle stime del tasso di occupazione per livello di istruzione, che mostrano chiaramente come il tasso aumenti all’aumentare del livello di istruzione e che tale relazione è più forte per la popolazione femminile. Nel 2021 il tasso di occupazione per le donne con un titolo di studio terziario (laurea o post-laurea) nella fascia 20-64 anni è stimato in 82,3% cioè circa 34 punti percentuali in più rispetto alle donne con un titolo di studio basso (al massimo la licenza media inferiore) e circa 15 punti in più rispetto alle diplomate. Per gli uomini pur mantenendosi tale relazione si rilevano gap inferiori, appena 10 punti tra titoli di studi terziari e bassi (86,6% vs 76,8%) e circa 5 punti tra laureati e diplomati (86,6% vs 81,8%). A fronte di un gap medio di circa 15 punti percentuali a sfavore delle donne, tra i laureati la differenza si riduce a poco più di 4 punti percentuali. Il livello di istruzione si conferma quindi uno dei traini per ridurre le differenze occupazionali tra donne e uomini pur persistendo anche tra le laureate una concentrazione dell’occupazione in settori che richiamano ai ruoli tradizionali della donna nella società. Tale evidenza è direttamente legata alle scelte formative che, come osservato nel paragrafo dedicato, vedono ancora le studentesse altamente concentrate nei percorsi di studi umanistici, dell’educazione e formazione e dell’assistenza socio-sanitaria. Sebbene lentamente sia in aumento la presenza femminile anche nei percorsi di studi in materie scientifiche, ci vorranno ancora diversi anni prima di vederne i riflessi in termini di distribuzione del settore di attività economico di lavoro. Inoltre, le donne più degli uomini rischiano di trovarsi ad essere lavoratrici sovra-istruite cioè ad avere un livello di istruzione superiore a quello più richiesto dal mercato per svolgere quella attività; la percentuale di occupati sovra-istruiti è pari al 29,2% tra le occupate e al 25,3% tra gli occupati e tali valori tendono ad aumentare proprio tra gli occupati con livello di istruzione terziaria.

Complessivamente nella fascia di età 15-64 anni la presenza di occupati in regione è stimata in circa un milione e 904 mila di cui 857 mila donne (45% del totale) e un milione e 47 mila uomini. Le quote sono diverse a seconda del settore: 75% per istruzione, sanità e altri servizi sociali; 62,4% per alberghi e ristoranti; 56% in attività immobiliari, servizi alle imprese e altre attività; 49% nel commercio. Il tasso di occupazione, rapporto tra gli occupati e le forze di lavoro, nella fascia 20-64 anni nel 2021 risulta pari a 66,1% per le donne e a 81% per gli uomini con gap quindi di quasi 15 punti percentuali a sfavore delle donne. Il tasso di occupazione femminile in Emilia-Romagna è di quasi 13 punti percentuali superiore alla media nazionale (53,2%) dove si riscontra anche un maggiore gap donne-uomini (-19,2 punti percentuali). Considerando la distribuzione del tasso di occupazione per classi di età, il valore più elevato per le donne si riscontra nella fascia 45-55 anni (79,1%) e il gap con il corrispondente valore per gli uomini si riduce a circa 13 punti percentuali.

L’analisi della posizione nella professione evidenza che mediamente il 60% di Co.Co.Co e prestatori d’opera occasionale è donna. Tra i lavoratori alle dipendenze, è di sesso femminile quasi il 60%
degli impieganti e poco più di un terzo dei dirigenti (34,4%) mentre tra i lavoratori autonomi la presenza femminile più bassa si riscontra tra gli imprenditori (21,6%) e i lavoratori in proprio (28,3%) e la più alta tra i coadiuvanti in una azienda familiare (64%). Tra gli occupati nella fascia 20-64 anni, mediamente il 17,1% svolge l’attività a tempo parziale con una forbice di genere molto elevata: il part-time riguarda il 30,4% delle lavoratrici e solo il 6,2% dei lavoratori. Su 100 occupati part-time si contano mediamente 80 donne e 20 uomini. Tra le occupate risulta più diffuso il part-time involontario: la percentuale di occupati che dichiarano di svolgere un lavoro a tempo parziale perché non ne hanno trovato uno a tempo pieno è del 13,3% tra le occupate 20-64 anni e del 3% tra gli uomini occupati di pari età. Il diverso profilo di donne e uomini nel mercato del lavoro in termini di settore di attività, posizione nella professione e tempo di lavoro si riflette inevitabilmente sulla retribuzione. La retribuzione media giornaliera per lavoratori dipendenti del settore provato segna un importante divario: 80,1 euro donne e 110,6 euro uomini. Differenze in questo senso si riscontrano anche tra i lavoratori pubblici.

A fronte di un minor livello di partecipazione al mercato del lavoro e di occupazione, le donne mostrano un maggior livello di disoccupazione cioè cercano attivamente lavoro ma lo trovano in
misura inferiore agli uomini. Complessivamente in regione nel 2021 nella popolazione di 20-64 anni si stima la presenza di circa 107 mila persone in cerca di occupazione di cui circa 65 mila donne pari al 60,7% del totale disoccupati. Il tasso di disoccupazione per la popolazione di 20-64 anni si attesta al 5,4% e tra le donne è di circa 3 punti percentuali superiore a quello degli uomini (7,1% vs 3,9%). Tali valori risultano decisamente inferiori al livello nazionale pari a 9,4% per la popolazione e, rispettivamente, a 10,5% per le donne e 8,5% per gli uomini. Il gap donne-uomini si riduce guardando al tasso di disoccupazione di lunga durata cioè la quota di persone di 20-64 anni che cercano un lavoro da più di 12 mesi senza averlo trovato mentre si amplia se si considera il tasso di mancata partecipazione al lavoro che oltre ai disoccupati, persone che non hanno un lavoro ma lo cercano attivamente, considera anche gli inattivi ‘disponibili’ cioè persone che non cercano attivamente un lavoro ma si dichiarano disponibili a lavorare qualora si presentasse l’opportunità.

A fine 2021 le imprese femminili attive erano 85.328, pari al 21,3% del totale delle imprese regionali. L’analisi per settore di attività dell’impresa rispecchia a grandi linee l’analisi per settore di occupazione; la quota più elevata di imprese femminili si riscontra nel settore ‘Altre attività dei servizi’ ed è pari al 56,7% e, all’interno di tale macro-settore, spicca la presenza di imprese femminili nell’ambito delle attività di servizi alle persone (66,8%). Superiore al valore medio regionale del 21,3% anche la presenza nel settore ‘Sanità e assistenza sociale’ (38,5%), dove risultano particolarmente concentrate nell’ambito dei servizi di assistenza sociale residenziale e non residenziale, nel settore dei servizi di ‘alloggio e ristorazione’ (31,7%) e nel settore del ‘Commercio’ (24,8%) in particolare del commercio al dettaglio (37,3%). A fine 2021 le imprese femminili regionali risultavano costituite per la gran parte da ditte individuali (65,5 %), quindi da società di capitale, 19,3%, una quota che tende ad aumentare velocemente, poi da società di persone, pari al 13,6 per cento del totale, con un peso che tende a diminuire rapidamente, e infine da cooperative e consorzi, che sono pari solo all’1,6% delle imprese in rosa. Va sottolineato che la crescita della consistenza delle società di capitale deriva soprattutto dall’attrattività della normativa delle società a responsabilità limitata semplificata tra le imprese femminili che ha di fatto comportato un aumento di questa forma giuridica tra le imprese femminili nel corso del 2021 (+4,5%) a scapito delle società di persone (-1,7%).

Come combattere le disparità? Due anni fa è nata la Strategia nazionale 2021-2026, la prima per l’Italia, per la promozione delle pari opportunità. La Strategia si concentra su cinque priorità strategiche: lavoro (creare un mondo del lavoro più equo in termini di pari opportunità e di carriera, competitività e flessibilità e sostenere l’incremento dell’occupazione femminile), reddito (ridurre i differenziali retributivi di genere), competenze, tempo e potere (rappresentanza femminile nelle posizioni di potere e negli organi direzionali di natura politica, economica e sociale). A livello regionale, nel programma di mandato 2020-2025 la Regione si impegna ad attuare misure specifiche rivolte al contrasto alle diseguaglianze di genere, inquadrando il tema anche all’interno di uno degli obiettivi del Patto per il lavoro e per il clima e orientando in tal senso la programmazione strategica.